Ciao a tutti, amici del blog! Scommetto che molti di voi si ricordano di quel periodo un po' surreale, nell'estate del 2020, in cui il social network preferito da tutti per balletti e video divertenti, TikTok, finì al centro di uno scontro geopolitico degno di un film di spionaggio. Da una parte, l'uomo più potente del mondo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump; dall'altra, un'app cinese da miliardi di utenti. In mezzo, questioni enormi come la sicurezza nazionale, la privacy dei dati e, ovviamente, un sacco di soldi.
La notizia che il vostro giornalista preferito (cioè io!) ha ripescato dagli archivi parlava di un accordo imminente, di grandi aziende pronte a comprare e di un presidente che, con il suo stile inconfondibile, sembrava dettare le regole del gioco. Ma come sono andate davvero le cose? Facciamo un passo indietro e ricostruiamo questa storia intricata, che è molto più di una semplice compravendita.
L'inizio della Tempesta: "Una Minaccia per la Sicurezza Nazionale"
Tutto è iniziato quando l'amministrazione Trump ha puntato i riflettori su TikTok, di proprietà della società cinese ByteDance. La preoccupazione principale, sbandierata a più riprese, era che il governo di Pechino potesse avere accesso ai dati sensibili di milioni di cittadini americani. Si parlava di spionaggio, di censura di contenuti sgraditi al Partito Comunista Cinese e persino di campagne di disinformazione. Queste accuse portarono a una mossa drastica: il 6 agosto 2020, Trump firmò un ordine esecutivo per bandire l'app dagli Stati Uniti entro 45 giorni se ByteDance non avesse venduto le sue attività americane a una società statunitense. La tensione era alle stelle.
"Dobbiamo intraprendere un'azione aggressiva contro i proprietari di TikTok per proteggere la nostra sicurezza nazionale", recitava l'ordine esecutivo. L'ultimatum era chiaro: o vendete, o siete fuori. Per i 100 milioni di utenti americani dell'epoca, sembrava la fine di un'era.
Entrano in Scena i Cavalieri Bianchi: Microsoft, Oracle e Walmart
Con una scadenza così stretta, partì una vera e propria corsa contro il tempo. Il primo nome a farsi avanti fu quello di un gigante assoluto: Microsoft. Le trattative sembravano ben avviate, ma alla fine l'offerta fu respinta. E qui la storia si fa ancora più interessante.
A spuntarla, o almeno così sembrava, fu una cordata inaspettata: Oracle, il colosso dei software e dei database, insieme a Walmart, il gigante della grande distribuzione. L'accordo proposto, però, non era una vendita vera e propria, ma una soluzione molto più complessa e, per certi versi, un po' fumosa.
L'idea era quella di creare una nuova società , chiamata TikTok Global, con sede negli Stati Uniti (si parlava del Texas). Ecco come sarebbe stata strutturata:
- Oracle avrebbe acquisito una quota del 12,5% e sarebbe diventato il "partner tecnologico di fiducia", ospitando tutti i dati degli utenti americani sui suoi cloud per garantire la sicurezza.
- Walmart avrebbe preso una quota del 7,5%, con l'obiettivo di integrare le sue capacità di e-commerce con la piattaforma social.
- ByteDance, la società madre cinese, avrebbe mantenuto la maggioranza delle quote (circa l'80%), anche se gli investitori americani già presenti in ByteDance avrebbero avuto un peso.
Trump diede la sua "benedizione" a questo accordo nel settembre 2020, sospendendo di fatto il ban. Sembrava che la crisi fosse rientrata. Ma le apparenze, come spesso accade, ingannavano.
Un Accordo Mai Decollato
Nonostante l'approvazione di Trump, l'accordo si arenò. Perché? I motivi sono diversi e complessi. Da un lato, c'erano dubbi sul fatto che questa struttura risolvesse davvero i problemi di sicurezza nazionale, visto che ByteDance manteneva di fatto il controllo della società e, soprattutto, del suo bene più prezioso: l'algoritmo. Pechino, infatti, fece subito sapere che non avrebbe approvato la vendita di una tecnologia così strategica.
Dall'altro, l'accordo fu impantanato in una serie di sfide legali e con l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2020, la questione perse priorità . L'amministrazione successiva, guidata da Joe Biden, ha poi revocato gli ordini esecutivi di Trump nel giugno 2021, optando per un approccio diverso e più ampio alla revisione delle app straniere che potrebbero rappresentare un rischio per la sicurezza.
Un'ultima nota: l'errore del competitor
È interessante notare come la notizia originale del competitor citi un certo "Segretario al Tesoro Scott Bessent". Facendo una piccola verifica, si scopre che il Segretario al Tesoro dell'epoca era Steven Mnuchin. Scott Bessent è un noto manager di fondi di investimento che, curiosamente, è stato menzionato in notizie più recenti (del 2025) riguardo a nuovi negoziati su TikTok, ma non aveva quel ruolo nel 2020. Un piccolo dettaglio che, però, fa tutta la differenza del mondo in termini di accuratezza!
Conclusione: Cosa ci insegna questa storia?
Dal mio punto di vista, la saga di TikTok del 2020 è stata una straordinaria finestra sul mondo in cui viviamo. Ci ha mostrato come un'app di intrattenimento possa diventare una pedina in uno scontro geopolitico tra superpotenze. Ha messo a nudo la nostra dipendenza da tecnologie controllate da pochi giganti e ha sollevato domande fondamentali sulla sovranità digitale: a chi appartengono i nostri dati? E chi li protegge? L'accordo alla fine non si è concretizzato in quella forma, ma il dibattito è tutt'altro che chiuso. Anzi, le recenti leggi approvate dal Congresso americano dimostrano che la questione del controllo di TikTok è più attuale che mai. Questa storia ci ricorda che, nell'era digitale, una "semplice" app non è mai solo un'app. È economia, politica, cultura e, a quanto pare, anche sicurezza nazionale.