Una sentenza che fa rumore, e non poco, nel mondo delle criptovalute in Italia. Si è chiuso il primo capitolo di una delle vicende più amare per gli investitori nostrani: il caso The Rock Trading. I due fondatori ed ex amministratori della piattaforma, Davide Barbieri e Andrea Medri, sono stati condannati in primo grado a cinque anni di reclusione a testa. Ma non è tutto, perché la giudice per l'udienza preliminare di Milano, Anna Calabi, ha anche stabilito provvisionali di risarcimento danni per la cifra monstre di circa 14 milioni e 330mila euro.
Una mazzata per i due imprenditori, finiti in carcere già nel dicembre del 2024, che chiude (per ora) un processo celebrato con rito abbreviato. La notizia era nell'aria, ma sentirla pronunciare in un'aula di tribunale ha tutto un altro sapore, soprattutto per le migliaia di persone che avevano affidato i loro risparmi a quella che un tempo era considerata una delle piattaforme leader in Italia per l'acquisto e la vendita di Bitcoin e altre valute digitali.
Un crac da 66 milioni di euro: cosa è successo?
Per chi non avesse seguito la vicenda dall'inizio, facciamo un passo indietro. The Rock Trading, nata nel 2011, si era costruita negli anni una solida reputazione. Per molti, era l'exchange "di casa", un punto di riferimento affidabile in un mercato, quello delle cripto, spesso percepito come volatile e rischioso. Poi, nel febbraio 2023, il buio. Improvvisamente, la piattaforma "congela" le operazioni e sospende i prelievi, gettando nel panico i suoi clienti. Da un giorno all'altro, i soldi di oltre 18.000 investitori sembrano svaniti nel nulla.
Le indagini, coordinate dai pm Pasquale Addesso e Grazia Colacicco e condotte brillantemente dalla Guardia di Finanza, hanno scoperchiato un vaso di Pandora. È emerso un dissesto finanziario spaventoso, quantificato in circa 66 milioni di euro. Un buco nero che ha inghiottito i risparmi di una vita di tante persone.
Le accuse: un castello di carte crollato
Le accuse contestate a Barbieri e Medri sono pesantissime e disegnano un quadro di gestione a dir poco opaca. Si parla di:
- Bancarotta fraudolenta: l'accusa principale, che da sola descrive la gravità della situazione.
 - False comunicazioni sociali: in pratica, aver presentato una situazione finanziaria della società diversa da quella reale.
 - Formazione fittizia del capitale: aver fatto credere che la società avesse un capitale superiore a quello effettivo.
 - Infedeltà patrimoniale: aver agito in conflitto di interessi, danneggiando la società che amministravano.
 
Secondo gli inquirenti, i fondi dei clienti venivano confusi con quelli aziendali, senza quella separazione che dovrebbe essere la base per qualsiasi servizio finanziario serio. Addirittura, da alcune chat emerse durante le indagini, sembra che già nel 2022 i due fossero consapevoli di non avere i Bitcoin che avrebbero dovuto custodire per i clienti. "Se risulta che dobbiamo avere 1.000 bitcoin, dobbiamo mostrarglieli", scrivevano, aggiungendo un agghiacciante: "il punto è che non ce li abbiamo".
La strada per i risarcimenti: una luce in fondo al tunnel?
La sentenza di primo grado è un punto fermo importante. I circa 14,33 milioni di euro di provvisionali sono così suddivisi: 14 milioni andranno a favore della liquidazione giudiziale di The Rock Trading srl e 330mila euro a quella di Digital Rock Holding spa, la società controllante, entrambe fallite nel 2023. Questo è un primo, fondamentale passo per cercare di recuperare qualcosa.
E per i singoli investitori? Nel processo sono stati ammessi oltre 250 risparmiatori come parti civili. Per loro, la strada sarà un po' più lunga: l'entità esatta del risarcimento per i danni patrimoniali e non, verrà stabilita in una causa separata in sede civile. La condanna penale, però, rappresenta una base solidissima per queste future azioni legali. È una luce di speranza per chi ha visto i propri sogni e i propri progetti andare in fumo.
Conclusione: una lezione amara per tutto il settore
Il caso The Rock Trading è una ferita ancora aperta per il mondo cripto italiano e un monito potentissimo. Ci insegna, ancora una volta, che la fiducia non può mai essere cieca, soprattutto quando si parla dei nostri soldi. La mancanza di regolamentazione chiara e di controlli efficaci ha permesso che una situazione del genere potesse degenerare fino a questo punto. Questa sentenza, pur non potendo cancellare le perdite e l'amarezza di migliaia di famiglie, stabilisce un principio fondamentale: chi sbaglia, paga. È un segnale importante per tutto il settore, che deve necessariamente muoversi verso una maggiore trasparenza e tutela per gli investitori. La speranza è che da questa brutta storia si possa imparare una lezione, per evitare che drammi simili si ripetano in futuro. La strada per un mercato delle criptovalute maturo e sicuro è ancora lunga, ma sentenze come questa aiutano a tracciarne il percorso.
                            